
L’immagine è un acquerello di Michela Tropea, omaggio ai versi di una mia poesia che si intitola “Il ventre schiuso di una conchiglia”.
Scaglie di dormiveglia
(2005)
*
Toccami, che è bisogno di mani e dita
e polpastrelli, di sentire graffiare lungo
la schiena, raspare l’unghia di un indice
contro un gomito. Tu forse non ricordi
che fa onde di brace. Io sì, nulla ho s.cor.dato
neanche un fremito. Poi forte abbracciami.
Che non può essere male bagnarsi di te
che è bisogno di pace. Imprevisto e vorace.
Poi, sulla soglia di pudori osceni, cambia
registro e lingua, per stendermi. Prendimi.
Con un guizzo di voce e idioma. Di cantilena
da intendere a stento. Così, a sorpresa.
[Che è dividere in due – moltiplicare per mille –
la stessa voglia. O è solo pena in mono
non Bi_Sogno]
**
Ecco, ora abbiamo una nuova scatoletta di spilli e
con quelli, appuntiamo sogni alla notte. Cinti d’assedio
siamo, in forbici di nuovi amori. Ed essi scintillano
come muti assilli o improvvide stelle; si scheggiano
in studiati trastulli; languidamente si smagliano poi
tracciando traiettorie interrotte su calze di naylon.
***
Elastiche sono le pareti del cuore
non ispessite dagli anni e dalle pene
giovani quanto quelle di una ragazza
– mi diceva il cardiologo, stupito.
Si contraggono, con rinnovato vigore
ad ogni battito. E sei tu, Amore, che dài
slancio al movimento convinto delle due
valvole, che giocano alla corda nel mio
petto. Saltano, come io non ho mai potuto
con le gambe. Le ho viste, sai, parevano
bambine divertite. Ridevano di gioia
ad ogni salto.
****
La differenza è nello sguardo. Qui, ha righe
sottili il lenzuolo che si commuove alla brezza
della controra. Il giallo dei cuscini gli fa eco
con un sospiro quieto. Lontano, invece, appena
si distingue la sagoma impregnata di foschia
di un’ isola vulcano. Tra qui e lontano, sta il muto
verde del pino. La differenza è nello sguardo.
*****
Chiese dove posare le labbra
ma nessuno rispose.
Così si addormentò senza sapere
come lasciar cadere
i baci che aveva acceso
tra orecchio e collo.
In sogno serrò gioie appena schiuse
in scrigni ch’erano lì per puro caso.
Senza dolore appoggiò ghirlande
a muri freschi di calce
e fissò viti a porte di muta follia.
Poi seguitò per gioco
a immaginare ponti su profondi
bracci di silenzio e mari
deserti di poesia.
Al risveglio intrecciò parole
come dita.
******
E’ nello spazio del dormiveglia che t’ incontro.
Le mie dita sono intrecciate alle tue; una mia coscia
si abbandona al tuo fianco; un braccio tuo mi cinge.
Mentre io affondo, tu hai la bocca di un’ape:
lasci segni leggeri sul collo e poi scendi
a leccarmi i seni.
Ed è lì che mi schiudi il ventre e mi prendi
con un sorriso. Il sonno arriva, poi
come una morte amica.
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