Quando eravamo poveri ci pioveva in casa.
Si disponevano secchi di plastica e pezze
davanti all’armadio in camera da letto.
Lo specchio rifletteva i secchi, i nostri
vent’ anni raccoglievano gocce e intonaco
le nostre mani versavano bestemmie
strizzando rabbiosamente stracci zuppi
– torcendoli – quasi fossero il collo
della padrona di casa o di Agnese, che
un piano più su, calpestava esauste
riggiole sulle nostre teste, incurante
di noi e della guaina di asfalto da rifare.
Quando eravamo poveri ci pioveva in casa.
E anche adesso
che siamo poveri solo di tempo e di spirito
nella nostra casa il soffitto di un bagno ammuffisce.
Nell’altro pende immemore dell’intonaco, che poi
si sfoglia e precipita, come grandine o neve
mentre l’umido della doccia trasuda nel corridoio
sulla parete da ritinteggiare. Anche adesso
esauste riggiole – mattonelle da cooperativa
in posa da vent’anni – fremono sotto i nostri
passi.E siamo noi, adesso, le padrone di casa
siamo noi quell’Agnese. E siamo sempre noi
impotenti, a benedire Ornella che non ha denaro
né troppa voglia di spenderlo né forse modo
di rifare i bagni dell’appartamento sopra il nostro.
[Ornella è spesso di pattuglia nel viale.
Porta a spasso un cane, le fa male la schiena
e cammina piano. Poi non ha un cazzo da fare.
Vuole vendere casa e trasferirsi a Nord-Est
dove vivono i due figli e i nipoti.
Suo marito Oreste ha un vecchissimo padre
da accudire, un padre ultranovantenne che
non ha voglia di morire. Non venderà casa
finché suo padre vive. Attende la pensione.
Intanto tappa le falle come può – col silicone.
Ornella attende che il vecchio cane muoia
attende che il suocero muoia, e già ne piange
la perdita. Ma delle perdite nostre – quelle
nei bagni – non sembra darsi peso.]
Noi che imprechiamo tra i denti, mentre
sorridendo la salutiamo, al rientro.