Giocano a trasformarsi in farfalle
ma galoppano come puledri
strisciano come serpentelli
o se ne stanno in un angolo
ruggiscono come leoni
– ridono ad ogni magia –
o hanno paura dell’eco, in palestra.
Soffrono, per la mamma
che non vede l’ora di andar via
e lasciarli da soli; chiamano zia
la maestra, quando sono orfani
e non hanno l’astuccio nuovo
o lo zaino delle tartarughe Ninja.
Si avvicinano e ti toccano
per allacciare il loro cuore
al tuo. Vogliono scrivere,
chiedono che appaia un sorriso
sul foglio riempito a fatica
di segni compìti o arruffati.
Si presentano a Pulcinella e Carmela,
poi staccano loro il collo per troppo
amore (le marionette di Francesco:
che lui non sappia, mai! ) …
Scrivono un nome, riempiono
di colore un benvenuto; aspettano
che arrivi il proprio turno
per avere attenzione. O scalciano,
perché non hanno ancora imparato.
Stanno in silenzio perfetto
se racconti loro una fiaba.
E quando sono stanchi si chiedono
se la mamma, se il nonno
se la zia verrà, se il pulmino verrà,
se qualcuno verrà … e ti chiedono
– Ma tu lo sai dove abito io?
Poi fanno il treno in doppia fila indiana
per andare via
i bambini, il primo giorno di scuola.
N.d.A. Scritta nel settembre 2006, al termine della mia prima giornata scolastica coi bimbi di prima, e dedicata oggi a quei bimbi, che ho avuto la fortuna di accompagnare lungo il loro percorso nella scuola primaria, che si è concluso venerdì scorso. Il loro primo giorno di scuola fu anche per me un giorno emozionante: intenso e indimenticabile come lo sono sempre tutti i primi giorni delle storie importanti.
(giugno 2011)