Gina che muore di sonno, che si rifiuta di chiudere gli occhi;
che quando dorme non sogna, o che forse sì ma al risveglio
non ne resta traccia; Gina che forse da sveglia non ne possiede
abbastanza, di sogni; che forse la speranza di un sogno se l’è
portata via il tempo. E il tempo ganzo con cui andare a letto
può sempre aspettare, che tanto Gina i suoi bocconi di notte
non se li fa più rubare. Gli spazi di silenzio dentro il buio fitto
le fanno da coperta e lei, Gina che dorme sempre troppo poco,
se la tiene stretta.
Nel nero trafitto da un lampo, spesso, scintilla una parola:
lei aspetta quella più giusta per farsene lenzuola; e sprimacciando
una voce se ne fa guanciale; Gina si ninna da sola.
Non ne può più dell’inverno che le stringe la gola; pensa
che fuori è caldo, che tanto in casa tutti dormono e che c’è
nessuno che l’aspetta. E allora vola,
fuori dal terrazzino, vola verso la bocca dei cani
che urlano alla notte verso la luna piena, verso una stella lontana,
stella forse contenta/ di vederla arrivare. Vola
verso il destino che è stato scritto per lei, Gina.