La poesia è stata inserita nel catalogo della mostra di dipinti dell’artista flegreo Vincenzo Aulitto sul tema “Miseno”, ispirato al promontorio che prende il nome dal mitico trombettiere di Enea, morto, secondo la leggenda, nelle acque del golfo di Pozzuoli (episodio che Virgilio inserisce nel sesto libro dell’Eneide, vv.226).
I posti dell’anima
A Macondo
Quieto pomeriggio di settembre
in un grande cortile di paese.
Nell’aria , impalpabile velo
la noia si stende.
Brevi, i voli dei colombi
nel cielo senza nubi.
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( sono un filo d’erba, io
sono una nuvola del tramonto … )
– 1977
Puorteme a casa mia
Ciao, Pino
Terre&Moti del cuore
Il libro di racconti e testi poetici scaturiti da interviste concesse a scrittrici e scrittori flegrei da trentadue testimoni, puteolani e non, dei due Bradisismi che interessarono la città nel 1970 e nel 1983.
Questi testimoni, a distanza di trent’anni dall’ultima crisi bradisismica, culminata con la scossa del 4 ottobre 1983 – a seguito della quale tutta la zona costiera della città vecchia (la Pozzuoli bassa, abitata essenzialmente da pescatori, proletari, artigiani e piccoli commercianti) fu sgomberata – rivivono e raccontano i momenti più drammatici di due esodi che da molti abitanti del Rione Terra (marzo 1970), e del resto del centro storico tredici anni dopo, fu vissuto come una vera e propria deportazione.
Gli oltre 3.000 sgomberati dal Rione Terra nel marzo del 1970 furono trasferiti, dopo alcuni anni trascorsi da ‘terremotati’ nei vari Comuni dell’hinterland napoletano e casertano, in Contrada Toiano, ex zona agricola in cui fu costruito un mega-quartiere dormitorio destinato ad accoglierli.
Gli oltre 30.000 sgomberati della ‘zona A’ – la fascia costiera occupata dalla città bassa, che dagli esperti fu ritenuta quella a massimo rischio sismico nel 1983 – anch’essi dispersi tra campeggi, case di villeggiatura della fascia domizia, alberghi e baraccopoli di case-container, furono invece trasferiti dopo alcuni anni a Monterusciello, altra zona agricola collinare del territorio puteolano coltivata soprattutto a frutteto.
Rifaremo ogni cosa più bella
Rifaremo ogni cosa più bella, sai?
Torneremo alle nostre macerie
E ne faremo verdi colline.
Saranno cumuli di memoria
Ma anche ombra di palme in fiore
Gorgoglìo di fontane
Scorrere d’ acqua fresca
Pura, come la pace
Che sapremo ancora sognare.
Legheremo nuovi paesaggi
Agli occhi. Ci parlerà di gioia
Un timido raggio di sole.
Ma tu, ora
Volgi lontano lo sguardo
Per favore. Lasciaci qui a morire.
Soli. Coi nostri mondi perduti.
I figli. I vicini di casa. Il tubare
Quieto dei colombi. Innamorati.
Il glicine che fioriva a primavera.
Le chiacchiere. Le notti di luglio
Sulle scale. I fuochi senza morte
Di certe sere d’agosto. Lasciaci.
Volgi lo sguardo altrove. Mentre
Piangiamo ciò che tu che non sai.
di(s)concerti
Come
irripetibili
– su fogli righe
pentagrammi –
melodie parallele
e
digitate voci differenti
che
s’intrecciano
si fondono
si scontrano
in polifonica (s’allontanano)
cacofonia
Ronza
avvitata sullo sfondo
un’unica nota continua
e attraversa ere
scompone spazi frantuma
sorda e senza nome (continua)
all’infinito dolore in crescendo
sorda
sorda
sorda
lanciata oltre l’udibile
‘A cummara ‘Ntunièlla
A mio padre
Mi hai fatta tu che non leggevi Rilke
Mi hai fatta tu che non sapevi altro
che correnti marine, che fondali
tu che fissavi solo terra e cielo
per capire dov’eri e dove andavi
Mi hai fatta rete scura nella notte
e guizzare di pesci senza scampo
Mi hai fatta donna come fossi uomo
col sale del tuo amare senza dire
Mi hai fatta sasso scabro e voce sola
Mi hai fatta fredde mani e caldo ventre
E mi hai accompagnata alla mia vita,
prima di accompagnarmi alla tua morte
*