Saluto a Sebastiano A. Patanè-Ferro

Il saluto di Doris Emilia Bragagnini al poeta Sebastiano A. Patanè-Ferro, recentemente scomparso.

Neobar

[…] È una felice melodia quella che sale dalle sue parole. Tutto risulta armonico, fluido, naturale. Anche i concetti meno immediati pare sappiano sciogliersi, attraverso consecuzioni e accostamenti che sembrano nati sì a nuovo ma in modo quasi atteso, come prosecuzione di un’elaborazione intuitiva, operata sul connubio dettato dall’esperienza fusa con la rivisitazione emotiva, alterandone l’evidente presenza a se stessa, dilatandone il significato, in modo da renderlo baluginio capace di rispondere alle interrogazioni più ampie dell’uomo… Doris E. Bragagnini

[…]…nella poetica di Patanè la ricerca della perfezione può essere identificata con il capire il profondo senso dell’assenza, di come il passato possa essere stato sviscerato ed essere “il qui e l’adesso” un modo completamente estraneo rispetto ad allora. Predominano in questa poetica le due figure principali, ovvero l’Io e l’Es freudiano, ovvero il principio della realtà e quello del piacere, sogno. L’incontro tra i due è difficile e provoca nel…

View original post 789 altre parole

Si scrive di quel che si perde

Ripropongo questa poesia scritta nel 2004. La foto in bianco e nero ritrae mio padre e mio fratello Leonardo ed è stata scattata tanti anni fa da Giulio Gentile, una sera che i due si imbarcavano per andare a pesca. La banchina era molto alta sul mare a causa del bradisismo, e imbarcarsi richiedeva buone capacità acrobatiche. Mio padre aveva superato i settant’anni, all’epoca, e avrebbe smesso di fare il mestiere dopo poco tempo…

Largo del Rosso

Si scrive di quel che si perde
di quel che non si è mai avuto
– due braccia forti e un tango –
di ciò che non si è pescato

di maglie da cucire sotto il sole
e della rete di una vita intera, bianca
tinta di ruggine. Si scrive delle squame
del sale che si asciuga sui calzoni
degli stivali in gomma nella melma
e delle notti cupe sopra il mare

quando si aspetta l’alba. Quando si va
per porti e per mercati, dentro la nebbia.

(16 marzo 2004)

View original post

Ma-à

È quasi l’alba. Vorrei non dover mai andare a letto. Si sta bene di notte, si sta da soli. Si sente il vento che sbatte contro le tapparelle, il tu-tu della cornetta staccata del telefono per evitare che al mattino suoni la sveglia. L’avevo attivata una sera, pensando che sarebbe partita soltanto il mattino seguente. E invece ha continuato a partire ogni mattina, col trillo insistente di chi non gliene può fregar di meno, se tu non riesci nemmeno ad aprirli, gli occhi, figuriamoci ad alzarti di botto. E parte tutti i giorni, compreso il sabato e la domenica, e non riesco più a disattivarla se non staccando la fottutissima cornetta! 

Staccare. È l’unica strategia che funzioni, pare …

Credo di non aver mai superato il dolore per la separazione forzata da mia madre. Altrimenti, non si spiegherebbe com’è che non riesco a staccarmi dalle persone, nemmeno se si tratta di estranei come questo Scalpellini, con cui in fondo ho poco o nulla da spartire. E’ un tratto patologico della mia personalità, credo. Le persone normali si liberano facilmente di ogni impiccio relazionale; io mi sento dilaniata da un dolore indicibile ogni volta che qualcuno mi sbatte in faccia un rifiuto.

A volte cerco di acchiappare il ricordo, di me abbandonata in una culla di metallo in uno stanzone gremito di culle occupate da bambini piangenti. Ma sarebbe più giusto dire che cerco di ricostruire la scena che ho ‘visto’ tante volte, quella che ho immaginato ascoltando i racconti di mia madre …

Perché sono stata strappata alle sue braccia? Devo essermelo chiesto, tra un singhiozzo e l’altro. Dov’è il calore animale del suo corpo, dov’è il suo capezzolo? Dovevo essere abituata ad attaccarmici ogni volta che avevo sete, e freddo, e sonno … e paura … Dov’è casa mia? Il mio seggiolone, i miei fratelli … ‘Te-éta’ … Era Natale, eravamo tutti intorno alla tavola, io nel seggiolone mangiucchiavo una ‘castagna del prete’, così diceva mia madre. Perché adesso sono qui? Devo essermelo chiesto, chissà, o devo averlo pensato. Devo aver provato a portare una mano alla bocca e … Perché non riesco più a muovermi?

Maammaa! Ammesso che si possa riuscire a pensare, a soli tredici mesi e col terrore addosso. Chi non capisce non pensa, un bambino a quell’età non capisce: piange e basta.

Allora immagino che piango. E’ stato per il troppo piangere che mi sono addormentata. Ecco, adesso sono in quella culla di ferro e metto una pausa alla paura. Quando mi sveglio riprendo a piangere ma non mi esce più la voce. Intorno a me sento solo lamenti, urla disperate e voci rauche e gementi.

Ancora qua, sto?? Cos’è, questo grande incubo pieno di bambini soli? Un bambino deve stare con la sua mamma … Dov’è mia madre? Mamma … Mamma! Maa!!

Passa chissà quanto tempo … chissà se ho smesso mai di piangere e di chiamarti. Quando sei entrata in quello stanzone – quando finalmente ti hanno permesso di entrare nel reparto in cui venivano ricoverati a forza i bambini ammalati – tu non riuscivi a distinguermi tra tutti quei piccoli corpi artigliati dalla paralisi. Ero una bambola flaccida, tra tutte quelle creature aggredite da un invisibile, microscopico mostro.

Prima che mi prendesse, io avrei potuto tenderti le braccia e avvinghiarti; avrei potuto scavalcare la sponda di quella culla, e sgambettare tra tutti quei corpi inerti, per raggiungerti … Ma ora non potevo che chiamare ‘Ma-a …’, tra un singulto e l’altro, e ogni respiro era già un’impresa.

Non avrei potuto arrivare in fondo a quella lunghissima parola: Po-lio-mie-li-te.

L’ultima grande epidemia di poliomielite in Italia, e tutti quei bambini tra le ultime vittime, tante. Trentaquattromila bambini. Migliaia di piccole vite segnate. La mia, tra quelle vite. Sono qui, mamma… mi vedi ?? “Màa … “

Tu avevi un camicione verde, una cuffia sui capelli e una mascherina a coprire il volto, ma io ti ho riconosciuta. Ho singhiozzato quel “Mà-a …” arrochito e sorpreso, e devo averci messo un po’ di rimprovero in quel richiamo, perché tu mi raccontavi di aver affrettato il passo e di esserti diretta verso di me, senza più alcun dubbio. Mi hai tirata su di peso dalla culla e mi hai stretta al petto. Poi ti sei accovacciata sul pavimento, hai tirato fuori un seno gonfio e dolente, che dicevi ingorgato di latte non munto, e mi hai permesso di svuotarti la mammella. 

Io ti divoro, mamma! Ti succhio anche l’anima. Non lasciarmi mai più, non lasciarmi! Come hai potuto permettere che mi portassero via, come hai potuto!? E succhio avida, mentre tu versi a fiotti nella mia bocca tutto il latte di cui mi avevi privata.

Dovevi nascondermi in qualche angolo buio, dovevi sbattere fuori di casa il dottore che ha disposto il ricovero: perché non l’hai fatto, perché hai lasciato che mi prendessero, brutta stronza!? Tu piangi e mi tieni stretta tra le tue braccia, io mugolo mentre ti strizzo il petto. Poi cominci a dondolarmi sussurrando una nenia antica, la stessa che canterai pure a mio figlio, tanti anni dopo. Tu mi canti la tua ninna nanna, mamma, quella che parla di un lupo che mangiò la pecora e di barche che tornano in porto piene di pesci d’argento; e io mi lascio cullare dalla tua voce lamentosa, io mi addormento.

 Mia madre con me in braccio, nel giardino dell'ospedale in cui venivo curata, dopo la polio.







Mamma con me in braccio, credo nel giardino dell’ospedale dov’ero ricoverata, dopo la polio.

“Eh sì! La vita è bella: bisogna ridere a tutta bocca solo per il fatto di essere nati.”: non faccio che ripetermelo.

Solo che ogni tanto, a sorpresa, arriva una randellata, e allora è comprensibile che il sorriso si smorzi.

Qui avevo appena affrontato il primo “lutto” della mia vita: avevo provato l’angoscia di una separazione, avevo già pianto tutte le mie lacrime (ma non sapevo che la fonte delle mie lacrime era e sarebbe rimasta inesauribile) fino a diventare afona. Poi, per fortuna, avevo visto riapparire mia madre, il cosiddetto “oggetto d’amore”, e m’ero un poco tranquillizzata.

Chissà a che pensavo. M’ero pigliata una paura terribile!!

Se fossi quella di adesso mi direi: “Vabbuó, il peggio è passato …”

Secondo me ero già quella di adesso.


 

Ho perso un verso

L’hai mica trovato
quel verso che ho perso
che ieri bruciava
e accendeva la notte?

Diceva con quattro parole
di amore di vita di sesso
diceva di tutto

Lo avevo pescato per caso
tra cosce svagate
e flussi di sogni interrotti

Non era brutto

Non era intorcinato

Era perfetto

Era il verso da tanto cercato

L’ho tenuto a mente un istante
ho pensato restasse lì per sempre
ho sbagliato

L’hai mica trovato?

Nonostante il Wrestling

– Pronto? Sìì … sì… Ornelaaa!! … Da Milano… Un signore vuole parlare te. – Poi Nadia mi passa la cornetta sorridendo maliziosamente, come al solito.

– Pronto, parlo con la signora Ornella?

– Sì.

– Chiamo da Milano, sono Claudio.

–  Sì?

– E’ per un’indagine di mercato commissionata dall’Eurisko … posso rubarle qualche minuto?

 (Ha una voce giovane. Questo dev’essere l’unico modo che ha per guadagnare qualcosa …)

– D’accordo.

– Questo è il numero della sua abitazione?

– Sì.

(A che serve dirgli che ha composto il numero di mia madre – ottantasei anni, semicieca e semiparalitica – che sono qui a quest’ora di sera perché lei è caduta procurandosi due brutti ematomi alla fronte ed al naso, che ha il volto tumefatto e che ho da poco finito di medicarla?)

– Questa intervista andrebbe fatta ad un bambino, ma posso farla anche a lei, se nella sua famiglia ci sono bambini …

(La mia nipotina è appena andata via piagnucolando, ancora sconvolta per lo spavento. La nonna le ha ripetuto per decine di volte che è stata colpa sua se è caduta. In effetti, se Giusi non avesse preso a calci la porta per farsi aprire, mia madre non avrebbe cercato di alzarsi da sola dal divano, mentre Nadia era in bagno…Ma, se fosse stata in sé, mia madre non ci avrebbe neanche provato, a fare da sola, e avrebbe dato a Nadia il tempo di andare ad aprire. 

Va sempre peggio …)

– Nella sua famiglia ci sono bambini?

– Un ragazzo di quattordici anni.

– Quindi un bambino…

– Un ragazzo.

– Un ragazzino, quindi un bambino.

 (Vuole un bambino? … che bambino sia!)

– D’accordo.

– Potrebbe dirmi quanto tempo passa suo figlio davanti alla televisione?

-Tre ore al giorno, al massimo.

– Potrebbe dirmi in quali fasce orarie?

– Di solito nel primo pomeriggio, poi inizia a studiare.

– Quindi dalle …14,30 … dalle 14,00 alle 16,00?

– Sì, più o meno…e poi un’oretta, la sera.

– Quindi … dalle 21 … 21,30 … alle 22.30?

(Mi pare un’ora giusta per far andare a letto mio figlio …)

– Sì.

– Potrebbe dirmi quali trasmissioni guarda di solito?

– Io? Non guardo mai la televisione.

– Ehm … non lei, signora Ornella … suo figlio.

(Non ne ho la più pallida idea. Ma devo pur rispondere qualcosa…)

– Gli piacciono i canali che trasmettono musica…

– MTV?

– Sì … e anche le partite di calcio, e i comici … Vede “SuperCiro”, “Mai dire goal”…Tutte le trasmissioni più sceme, insomma.

(Gli incontri di Wrestling non li voglio neppure nominare, per carità di Dio!)

– Eheheh … capito. … Quindi … guarda Italia 1?

– “Super Ciro” la trasmette Italia 1?

– Sì.

– Allora sì.

– Quindi ieri sera … l’ha guardata?

(Ha la voce affannata, incespica nelle parole. Povero amore, chissà quante telefonate come questa ha dovuto fare, chissà quante cornette in faccia si è beccato …)

– Presumo di sì… Sì.

– Nell’ ultima settimana, mi potrebbe dire quali di questi canali ha guardato?

(No, non potrei. Che cazzo ne so di cosa guarda quel benedetto ragazzo?)

– Rai 3?

(Se dico di no, levano la pubblicità a Rai 3, è sicuro.)

– Vede “Ballarò” … la danno su Rai 3?

– Sì … Quante volte guarda Rai 3 allora? Una volta a settimana?

(Cosa cazzo ne so?!)

– Sì.

– La7?

– Sìììììì! Vede lo sport su La7…

(Così daranno un po’ di pubblicità pure a La7: ne ha bisogno…)

– Allora guarda Biscardi.

– E certo, Biscardi!

– Ancora qualche minuto di pazienza, signora … Ornella! In casa sua esiste un decoder satellitare?

– Sì, ma … non si affanni tanto, faccia con calma.

– Ho un tempo calcolato per ogni intervista, è tutto controllato. Adesso le devo elencare tutti i canali satellitari… lei deve solo rispondere sì quando sente un canale che suo figlio vede di solito …

– Ma … Sono più di cento, i canali del satellite! Mio figlio vede solo Rai 3, Italia 1, MTV e La7.

– E Canale 5?

– Noooo!!

(Magari si limitasse a rovinarsi soltanto con Italia 1, quel disgraziato! Invece sono i canali più demenziali quelli che guarda! Canale 5 incluso!)

– Rai1 … allora no. … Rai2 … no.  … Cartoon Network?

– No, ha 14 anni!

– Glieli devo elencare tutti signora … è tutto controllato. … Altrimenti …

– D’accordo.

(Benedetto ragazzo!)

– Lei ha un abbonamento Sky?

– Sì.

– Quale pacchetto ha scelto?

– Cinema, sport … Mio figlio mi ha di fatto obbligata ad aggiungere i canali che trasmettono partite di calcio …

(Cristo Santo, che fine hanno fatto tutte le fiabe che gli ho letto quando era bambino? Le ripeteva a memoria, guai a saltare una sola virgola, a cambiare una parola …)

– Quello da 55 euro?

(Panico. Pago 55 euro al mese per non guardare mai la televisione?!)

– Sì.

– Le elenco i canali, signora … Lei deve solo dire sì quando sente un canale che suo figlio guarda di solito.

– Quanti anni ha lei, Claudio?

– Ventiquattro… sono uno studente, faccio questo lavoro per pagarmi gli studi. …  Rete 4 … CinemaSky … National Geographic … Leonardo…

– Sono più di cento!

– Devo proprio signora … abbiamo quasi finito.  … Discovery Channel …

– Dica a quelli dell’Eurisko di fare inserire pubblicità intelligenti nelle trasmissioni che vede mio figlio, per favore.

– Eheheh… Alice … GamberoRosso … Nuvolari…

– A che ora finisce di lavorare?

– History Channel …Alle 21,30 … tra un po’… Lo faccio solo per poco tempo, questo lavoro, non si preoccupi.

(Non sono affatto preoccupata. Mia madre perde colpi, io perdo colpi con lei, ma forse tu puoi ancora cavartela. Forse anche mio figlio se la caverà, nonostante il Wrestling.)

– Lo spero per te.

– L’intervista è finita, signora …Ornella. La ringrazio per la pazienza.

– L’ho fatto solo per aiutarti.

– Grazie, e buonasera …

– Ciao, Claudio…

(Buona fortuna, ragazzo …)

(2004)