In cammino

Stamattina ho visto passare una poesia
lungo il viottolo che costeggia casa mia.

Aveva l’incedere altero, il passo sicuro
di chi sa dove andare, la schiena dritta,
la pelle nera, lo sguardo fiero, gli occhi
di un ragazzo giunto da chissà dove
[era una poesia in cammino] diretto
chissà dove. Che indossava una polo
bianca su jeans puliti, e un’espressione
tranquilla. Portando sulle spalle
uno zainetto scuro, un paio d’ali ai piedi.

Una Panda le è transitata accanto
quasi sfiorandola, senza coglierla.

Gli scugnizzi di Largo del Rosso

Foto di Vincenzo Conte o Settimio Gallinaro, periodo di Carnevale, primi anni sessanta.
Foto di Vincenzo Conte o di Settimio Gallinaro, periodo di Carnevale, primi anni ’60.

Zufenella, diminutivo e storpiatura di Sofia, era la donna anziana che in questa foto è ritratta con la nipotina in braccio. Per  me resta la donna che ogni anno, nell’ultimo martedì prima del periodo di Quaresima, organizzava uno spassoso funerale, con gran divertimento mio e dei bambini del vicolo. Dopo aver costruito un fantoccio riempiendo di trucioli di legno la tuta di lavoro di qualche operaio o artigiano, lo adagiava supino su una carretta e lo portava in corteo per tutto il quartiere gridando a gran voce: “E’ muorto Carnevale!”, seguita da un codazzo di scugnizzi schiamazzanti. Al termine della processione adagiava il fantoccio sui basoli e gli dava fuoco, mentre tutti i partecipanti al funerale, disposti in cerchio intorno al fucarazzo, fingevano di piangere, di stracciarsi i capelli e le vesti. Tra un urlo di dolore e un finto pianto ci scappavano sempre molte  grasse risate. A me Zufunella piaceva tantissimo, anche se per tutto il resto dell’anno non ci avevo a che fare, e mai avrei immaginato che non fosse felice.  Ma un giorno seppi, ascoltando le mezze parole dette sottovoce da mia madre e dalle sue amiche, che era morta. Non di morte naturale, come sarebbe stato normale a giudicare dalla sua indole apparentemente gioviale. No: le donne dicevano che aveva bevuto qualcosa, non ricordo più se liscivia o che altro, e che si era avvelenata. Mettendo fine alla propria vita mise termine pure alla tradizione del funerale di Carnevale, portando con sé un sacco di storie che avrebbero forse meritato di essere scritte.

Il mio primo giorno di scuola

Giocano a trasformarsi in farfalle
ma galoppano come puledri
strisciano come serpentelli
o se ne stanno in un angolo

ruggiscono come leoni
– ridono ad ogni magia –
o hanno paura dell’eco, in palestra.

Soffrono, per la mamma
che non vede l’ora di andar via
e lasciarli da soli; chiamano zia
la maestra, quando sono orfani
e non hanno l’astuccio nuovo
o lo zaino delle tartarughe Ninja.

Si avvicinano e ti toccano
per allacciare il loro cuore
al tuo. Vogliono scrivere,
chiedono che appaia un sorriso
sul foglio riempito a fatica
di segni compìti o arruffati.

Si presentano a Pulcinella e Carmela,
poi staccano loro il collo per troppo
amore (le marionette di Francesco:
che lui non sappia, mai! ) …

Scrivono un nome,  riempiono
di colore un benvenuto; aspettano
che arrivi il proprio turno
per avere attenzione. O scalciano,
perché non hanno ancora imparato.

Stanno in silenzio perfetto
se racconti loro una fiaba.
E quando sono stanchi si chiedono
se la mamma, se il nonno
se la zia verrà, se il pulmino verrà,
se qualcuno verrà … e ti chiedono
– Ma tu lo sai dove abito io?

Poi fanno il treno in doppia fila indiana
per andare via

i bambini, il primo giorno di scuola.

N.d.A. Scritta nel settembre 2006, al termine della mia prima giornata scolastica coi bimbi di prima, e dedicata oggi a quei bimbi, che ho avuto la fortuna di accompagnare lungo il loro percorso nella scuola primaria, che si è concluso venerdì scorso. Il loro primo giorno di scuola fu anche per me un giorno emozionante: intenso e indimenticabile come lo sono sempre tutti i primi giorni delle storie  importanti.
(giugno 2011)