4. Il nome di Vicienzo lo vede, il mare.

-Zi’ Filumè’ …ma pecché ve chiammeno Sarachèlla?
-Eh, pecché …T’avess’ ‘a cuntà’ ‘na storia longa, Maruzzè’…Ma tu nun tieni suonno? E mammeta, comm’è ca nun te chiamma ancora?
-E’ andata dalla cummara Adelina a vedere la puntata alla televisione.
-E sòreta grossa addò’ sta?
-Sta facendo cumpagnia a ‘Ngelinella …

Angelinella era la sorella più piccola di Maruzzella, e per dormire voleva ancora la compagnia di Teresa, la sorella più grande. La quale, dopo avere addormentato Angelina a furia di chiacchiere, se ne andava pure lei a dormire.
A casa non c’era posto per tutti e, per avere un letto, Teresa dormiva a casa della nonna, dove teneva compagnia pure a zi’ Assunta. Le due Sarachèlle, rimaste sole, vivevano insieme in una stanza che si affacciava su un cortiletto nascosto del vicolo, ed erano troppo vecchie per dormire senza la compagnia di qualcuno.
Teresa, la nipote maggiore, faceva compagnia alle vecchie; era quello il suo dovere, pensava Maruzzella…
Ma, a Teresa, chi faceva compagnia? E a lei stessa?
Se lo chiedeva, ma già sapeva come rispondersi. Sua sorella grande teneva la compagnia della cugina Filomena, la figlia di zi’ ‘Ngiulina, che aveva la sua stessa età e pur’essa dormiva dalla nonna Teresina. E poi teneva Bolero, il giornale che comprava tutte le settimane, e leggendo leggendo si addomentava e magari si sognava pure di essere una diva del cinema.
In quanto a lei, a dormire ci andava da sola quando gli occhi le si chiudevano. E per compagnia teneva ‘Ngelinella – che però una volta che si era addormentata era meglio che non la svegliavi, sennò quella si metteva a piangere perché voleva la mamma – e le storie che si faceva cuntare.
Tanto Luisa, sua madre, prima delle dieci e mezzo e la fine della puntata non si ritirava a casa, malata com’era della televisione e degli inciuci della commara Adelina.

*

– Le sorelle Sarachèlle, accussì vi chiammano…
– Tenevamo pure un fratello maschio, lo sai, Maruzzè’? Era l’ultimo nato, dopo quattro femmine. Si chiamava Vicienzo, come tuo padre.
– E dove sta ora?
– E’ morto quando teneva vent’anni.
– Allora pure sòrema Teresa mòre?
– Neh Madonna, e perché!?
– Tiene pur’essa vent’anni.
– Vicienzo non è morto perché teneva vent’anni, Maruzzè’…
– E allora perché? Era malato?
– No, stava benissimo. Faceva il pescatore con nostro padre, Rafèle Sozio, detto Sarachiéllo.
– Pur’isso, tuo fratello, se chiamava Sarachiéllo?
– Era figlio di Sarachiéllo, perciò… Però è morto quando ancora lo chiamavano soltanto Vicienzo.
– E come è morto?
– E’ partito soldato quando c’era la grande guerra. Dopo due anni, un giorno venne a casa nostra Pascale Per’i puorche, il messo comunale. Quello compariva solo per dare le brutte notizie, come infatti portò una carta dove stava scritto che Vicienzo era morto.

E nel dire così, zi’ Filumena si passò una mano sulla fronte e sentì di avere alcuni semi di pomodoro attaccati alla pelle. Non aveva avuto neppure il tempo di darsi una sciacquata, dopo aver spento il fuoco sotto i bidoni. Per ora, non aveva forza che di godersi il fresco della sera. Si staccò i semi con l’unghia, e per fare questo socchiuse un poco gli occhi, come se così potesse ricordare meglio.

– Mio padre si fece leggere tutta la carta per sapere dov’ era successo e non parlò più con nessuno fino alla fine della guerra. Muto era diventato, per il dispiacere di avere perduto l’unico maschio. Non si faceva capace, e non si fidava più di vedere piangere tutte le femmine che gli erano rimaste. Perciò prese il vizio di andare nella cantina di Ciuffello a bere il vino rosso e a mangiare i sarachièlli sotto sale…

La voce le tremò, e la vecchia rimase zitta come se non volesse piangere. Prendendo il coraggio a due mani Maruzzella le spiò a bassissima voce:
– … E poi?
– Dopo un anno la guerra finì, e mio padre una mattina si mise il vestito buono e uscì di casa. La sera non tornò, e neanche il giorno dopo. Passò un mese, e così come se n’era andato una mattina tornò, quando già pensavamo che era morto pure lui. E poi passò tutta la giornata a parlare, a parlare, con noi intorno che ridevamo e piangevamo.
– E che disse il nonno?
– Ci cuntò che era arrivato assai lontano, fino al paese dove il fratello mio era morto. Il mare non ci stava, però c’erano montagne che si appizzavano nel cielo. E ci stava un bel cimitero, e papà mio cuntò che Vicienzo lì stava fresco, perché d’inverno ci cadeva pure la neve. Voleva fare un poco di compagnia al figlio morto, ci disse, perciò ci aveva messo tanto tempo a tornare. Ma senza mare si sentiva mancare il fiato, e perciò era tornato.
– E mò, Vicienzo Sarachiéllo dove sta?
– E chi lo sa, Maruzzè’… Al tempo di Mussolini, il podestà fece fare un monumento per i soldati che erano morti in guerra. Sta ancora là dove lo fecero, sotto il ponte del Rione Terra. E sopra il marmo, in alto, insieme a tanti altri nomi ci sta scritto pure quello suo: Vincenzo Sozio.
Così cuntarono a mia madre, e così confermò a mio padre Totorre lo scrivano: perché a casa nostra non sapeva leggere nessuno, e papà mio gli aveva spiato di controllare se era vero che sul marmo ci stava pure Vicienzo. Quando ti fai più grande e vai a scuola, devi per forza passare di là. E quando impari a leggere, vai a vedere se lo trovi, Maruzzè’…

E la zia janàra le sorrise, ma teneva gli occhi pieni di lacrime e la voce di chi sta facendo per davvero.

*

La neve era bella, però pure fredda assai, pensava Maruzzella quella sera prima di dormire ricordando l’unica nevicata a cui aveva assistito nel corso della sua breve vita. Ma un paese senza mare non lo aveva mai visto. L’unico che conosceva, oltre al suo, era Napoli. E pure a Napoli, nonostante che era lontana e ammuinata, il mare ci stava. Lo aveva visto guardando dal pulman che andava alla riviera di Chiaia, dov’era l’ospedale in cui Luisa la portava a fare le cure per la paralisi.
Chissà com’era un paese senza mare, si chiedeva Maruzzella. Ma, anche sforzandosi, non riusciva ad immaginarlo. E chissà come si era sentito Vicienzo a morire in un posto senza mare, e così lontano dal vicolo, che ci voleva tempo per andare e tornare. Lei pensava che doveva essere stato brutto, però chissà …
Meno male che il suo nome era rimasto scritto in alto, sul monumento sotto al ponte del Rione Terra!
Da lì, il mare si vedeva benissimo…

Sozio Vincenzo

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3 pensieri su “4. Il nome di Vicienzo lo vede, il mare.

  1. Che Maruzzella fosse Mariella Tafuto lo avevo capito. ….Che avesse una propensione allo “spionaggio” anche. Infatti, per avere già letto, qualche tempo fà, qualcosa di questa che mi verrebbe di titolare “saga delle sarachèlle”, mi sembra che “spiare”, usato nel senso di fare, provocare, e raccogliere confidenze per dipanare una storia, far luce su un mistero.. sia un verbo cui sei particolarmente affezionata.
    E, di spiata in spiata, Maruzzella sembra che stia cominciando a dissolvere la coltre di mistero che avvolge la nascita dei contranomi “sarachiello; sarachèlle”.

    Varrebbe la pena di soffermarsi a roflettere un pò di più su questa storia della Storia che, sempre uguale a se stessa, al bisogno ed all’occorrenza, intreccia ed interseca in modo violento e tragico le storie di tutti noi.
    La morte di Vicienzo figlio fa morire dentro Vicienzo padre. E fa nascere “sarachiello”.

    Grazie per i complimenti e per il ruolo di attento lettore che mi hai assegnato.
    Anche se non ho molto tempo; sopratutto perchè mi torna utile per rivedere la storia della mia, di famiglia, come diceva il caro e pur caro Bassolindo, passo dopo passo, leggerò e commenterò i capitoli a seguire. Engagé

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  2. Spiare nel mio dialetto vuol dire chiedere, domandare. Per spiare bisogna interessarsi all’altro, perché è l’interesse per l’altro da sé che genera il desiderio di ottenere risposte. Che a volte sono soltanto conferme di cose già sapute, o intuite, altre volte schiudono scenari insospettabili. Se le risposte aprono la porta a storie, quelle vanno accolte. E’ bellissimo scovare storie dentro le cose più piccole, dentro quelle apparentemetne più insignificanti. Lo fanno i paleantropologi, ad esempio: a una mandibola fossile, a un dente, all’impronta di un piede, di un passo, chiedono di raccontare una storia …

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