Sono nata una notte in un posto incantato, un posto dove il tempo era fermo e la magia si tagliava a fette.
Si chiamava, e si chiama tuttora, Largo del Rosso.
Era un luogo pieno di bambini, di giochi, di vecchi che raccontavano storie; era un mondo pieno di gente che parlava. Era un vicolo a forma di cortile, il cui ingresso era nascosto a quelli che non avevano occhi per vedere, ed era come una grande casa per tutti quelli che l’abitavano.
È lì che ho imparato la poesia, perché la respiravo. Era nelle voci delle donne che intrecciavano cunti* e nenie mentre insieme preparavano conserve; era nelle voci dei bambini, che giocando si tramandavano filastrocche e conte; era nelle voci dei venditori ambulanti, che lanciavano i loro richiami; era nella musicalità araba del dialetto che parlavo e che ascoltavo, ricco di parole per dire ogni cosa.
Era nell’aria, nel profumo dei glicini a marzo, nel tubare tranquillo dei colombi, nelle stelle della cintura di Orione (“Quanno accumparene i tre fratielle, allestiteve i capputtielle!”**) che annunciavano la fine dell’estate; era nei riti che si ripetevano uguali, segnando il cambio delle stagioni.
Era nei colori, nelle forme che assumevano le cose, era il ritmo che mi formava e che mi nutriva di sé. Da lì sono partita, ed è lì che torno, quando la Poesia mi scorre dentro.
Note
* racconti
**”Quando compaiono in cielo “i tre fratelli” (le stelle della cintura di Orione) preparate i cappotti!”